È l’unico sport ad avere un “terzo tempo” che si svolge a fine gara e riunisce i giocatori/avversari per una “partita” a base di cibo, condivisione e sportività. Parliamo del rugby, che il CIO ha introdotto per la prima volta ai Giochi Olimpici di Rio 2016. Uno sport che sta guadagnando terreno e del quale vogliamo sapere di più. Per questo abbiamo incontrato il Presidente del Ravenna Rugby, Mario Battaglia.
Text > Alice Visconti
Portrait > Jenny Carboni
Photos of Ravenna rugby > Ilaria Vulcano
È vero che questo sport è nato… per un errore? Si racconta che durante un incontro di football nella città inglese di Rugby, un giocatore prese la palla con le mani e anziché calciarla la depose in rete con le mani… Si chiamava William Webb Ellis e, non a caso, la Coppa del Mondo di Rugby è la Ellis Cup.
Dal 2016 con Rio diventa anche disciplina olimpica… Il rugby a 15 non è ancora sport olimpico, lo è quello a 7, che si gioca in maniera più veloce e spettacolare se vuoi, ma che è meno fisico e per questo meno amato dai puristi del rugby. È comunque un importante riconoscimento.
Olimpiadi uguale più soldi. Cosa cambierà, o cosa è già cambiato? Quello del rugby resta al momento un ambiente pulito, romantico quasi… girano ancora troppi pochi soldi perché possano innestarsi meccanismi subdoli… come il doping per l’esasperazione prestazionale… Mi auguro che i soldi non arrivino se non che per aiutare il movimento dal basso. Il rugby è uno sport povero, nel senso che al di là degli spazi ha bisogno di poco altro.
Ma può essere un mestiere, come quello del calciatore o del tennista per intenderci? Per viverci occorre arrivare davvero molto in alto… e comunque non immaginare compensi neppure lontanamente simili a quelli che circolano altrove, si parla di 2 mila euro al mese per rugbisti che militano in serie A, infatti la gran parte di loro ha un altro lavoro… Comunque esistono Centri di formazione e Accademie nazionali, la nostra, ad esempio, è a Prato (e pensa che quattro ragazzi della nostra società la stanno frequentando proprio in questo momento) che preparano gli atleti particolarmente dotati, ma parliamo dell’1%…
Il Ravenna Rugby quando nasce. Dieci anni fa per volontà di Giovanni Poggiali, al tempo contava un esiguo numero d’iscritti, situazione fotocopia per numerose altre realtà romagnole. Così, per evitare l’implosione, Poggiali creò la Franchigia Romagna (Romagna RFC, campionato nazionale serie B) alla quale afferiscono giocatori dalle società più piccole di tutte le città romagnole: Ravenna, Forlì, Imola, Rimini, San Marino. Poi c’è il campionato delle singole società, come il Ravenna Rugby, di cui Poggiali mi ha affidato la presidenza da un paio d’anni.
Quali categorie? Tutte fino alla serie C a partire dagli Under 8, compresa un’ottima squadra femminile, “Le Muse”, e quella degli “Old”, di cui faccio parte. È una peculiarità di questo sport includere tale categoria, disciplinata dall’EVRA, associazione veterani, con regole leggermente più soft in virtù dell’età dei militanti. Pensa che durante un torneo a Barcellona in campo c’era un 72enne!
Come si può promuoverlo? Sono molto contento perché attraverso una serie d’iniziative, coadiuvate da enti pubblici e sponsor privati, abbiamo triplicato gli iscritti rispetto a 10 anni fa. Una delle più recenti è stata il 10° Diego Dominguez Rugby Camp, che abbiamo organizzato quest’estate a Punta Marina, con la presenza di otto atleti professioni del rugby che hanno fatto vivere gratuitamente a 50 bambini una settimana da professionisti! Il rugby è funestato dall’idea che sia uno sport violento, in realtà è rude, fisico, ma molto corretto, rigoroso e aggregante. Quello che vogliamo fare è creare una cultura del rugby. Sul modello britannico, abbiamo deciso di portare il rugby dentro la scuola per farlo vivere direttamente ai bambini. Individuate quelle con insegnanti particolarmente sensibili al tema, abbiamo creato nelle scuole Torre e Camerani due Enti scolastici ossia due società sportive, di cui il Dirigente è anche presidente e di cui noi siamo tutor. In questo modo stiamo offrendo l’opportunità a bambini, bambine (e alle loro famiglie) di svolgere questo sport gratuitamente, fornendo inoltre l’attrezzatura necessaria e mettendo a disposizione un nostro allenatore e il nostro campo. E questo per me è davvero un punto d’orgoglio.
Siamo curiosi di sapere del vostro “Terzo tempo”… Per quanto sport fisico, la natura del rugby è tutt’altro che violenta. E il “Terzo tempo” vuol essere proprio un richiamo alla compostezza e alla sportività: posso essere competitivo in campo, ma una volta finito l’incontro non ho avversari, ho amici. Un rispetto che coinvolge anche l’arbitro. Nel rugby solo i capitani delle due squadre possono parlare all’arbitro, e viceversa. Comunque sia, il rugby è tanto rigoroso quanto “sociale”, per esempio, i giocatori non hanno il proprio nome sulla maglietta, ma solo il numero, questo a rimarcare che non è la persona, ma la squadra che conta… E non a caso, nel rugby, la palla non si passa in avanti, la palla avanza con te e tu puoi passarla, una volta che sei fermato dall’avversario, solo al compagno che ti sta dietro, quindi il sostegno dell’altro diventa centrale. Non è un meccanismo semplice da apprendere, anche se spettacolare da vedere…
È uno sport per tutti? C’è una bellissima favola sulla foresta che racconta di come, dal più piccolo al più grande, dal più forte al più delicato, tutti gli animali siano indispensabili alla vita di quel luogo. Ecco, nel rugby tutti hanno un ruolo: il robusto deve fermare, il piccolino sgusciare, l’alto volare… e così via. Penso davvero che non esista un gioco che riesce a incarnare certi valori meglio del rugby: sacrificio, passione, e rispetto!
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